Storia dei nostri ghiacciai e dei cambiamenti climatici

Storia dei nostri ghiacciai e dei cambiamenti climatici

Questo post non vuole convincere nessuno sulla attuale situazione climatica, ormai sulla bocca di tutti, ma semplicemente documentare la realtà dei fatti secondo i testi antichi dei nostri antenati.

Se avrete la voglia di leggerlo tutto, forse la mente vi si aprirà un pochino… 🤓

La realtà è che i ghiacciai, in epoca medioevale e fino a tutto il Cinquecento, non esistevano sulle Alpi. Ad esempio, dove oggi c’è il ghiacciaio dell’Aletsch, lo spessore massimo del ghiaccio attuale è di circa 900 metri. Fino all’inizio del Seicento lì sotto quasi un chilometro di ghiaccio attuale, passavano delle strade, c’erano delle malghe e dei pascoli.

Quattro millenni fa il ghiacciaio del Ruitor non esisteva e al suo posto vi era un lago poi trasformatosi in torbiera ed ora ricoperto dalla coltre glaciale. Ogni tanto, però parti di quella torba vengono trascinati dai movimenti del ghiacciaio fino alla fronte. Essa fornisce un prezioso materiale di studio per conoscere il passato delle nostre montagne.

Leggiamo uno stralcio della storia dei ghiacciai, tratta dal sito della Regione autonoma Valle d’Aosta, dove ben si capisce quale sia stata l’unica vera crisi climatica degli ultimi millenni e perché. Buona lettura.

“…nel periodo del Sacro Romano Impero e della organizzazione feudale dell’Europa sulle Alpi, prendono vita numerosi stati di valico istituiti a controllo e a servizio delle vie transalpine, arterie vitali della grande unità politica. Fra di essi vi è quello dei Conti di Savoia il cui fulcro fu per secoli la Valle d’Aosta con i passi del Piccolo e del Grande San Bernardo.

Il limite climatico delle colture cerealicole si spinge fino all’altitudine di 2300 m. Lo conferma la presenza di settori attrezzati per la trebbiatura del grano in fienili di dimore dell’alta valle di Ayas e di Valgrisenche poste a quell’altitudine, ora diventate stagionali ma costruite nei tempi in cui lassù si poteva abitare tutto l’anno.

Riguardo allo stato dei ghiacciai l’Abbé Henry, noto ricercatore tanto in campo storico quanto in campo naturalistico, scrive in una sua relazione (NOTA 10);

“Entre le 1300 e le 1600 les glaciers devaient être très petits et réduits à leur minimum… Sa découle d’un grand nombre de documents tels que les Reconnaissances de l’époque ou le mot glacies est introuvable. Une autre preuve que les glaciers étaient alors très petits et très recules c’est que les passages par les cols élevés de montagne étaient alors très faciles et très fréquentés: on allai communément, on faisait passer vaches et mulets de Prarayé à Evolène par le Col Collon (3130 m), de Zermatt à Evoléne par le Col d’Hérens (3480 m); de Valtournenche à Zermatt par le Col de Saint-Théodule (3380 m).”

Il Colle del Teodulo – oggi centro di uno dei più prestigiosi comprensori sciistici – nel Basso Medioevo fu a tutti gli effetti un itinerario “Europeo” sulla via transalpina che univa il porto di Genova con quello di Amsterda. Tutte le carte geografiche del ‘500 e del ‘600, comprese quelle del grande cartografo olandese Mercatore, rappresentano il “Mons Silvius” – tale era il suo nome in latino – e il villaggio di Ayas, suo principale centro di servizi. In quelle redatte nei paesi d’oltralpe compare la dizione: “Krëmertal”, ovvero “Valle dei mercanti” posta fra i toponimi di Ayas e del valico del Teodulo.

Il controllo delle strade che dalla valle della Dora salivano al colle del Teodulo, era esercitato dagli Challant, la più prestigiosa famiglia nobiliare valdostana che proprio da quel traffico traeva la sua ricchezza e la sua rinomanza a livello europeo.

In questo periodo caldo dai traffici assai vivaci, prese origine la millenaria fiera di Sant’Orso che tutt’ora si celebra il 31 gennaio nel cuore dell’inverno, una stagione che pare ben poco propizia ad un gran concorso di gente, soprattutto in passato quando non esistevano i mezzi spazzaneve. Il più antico documento che riguarda questa rassegna risale al 1305 ma pare che allora essa già fosse secolare, era esclusivamente dedicata agli attrezzi agricoli e si svolgeva nei tre giorni che precedevano la festa di Sant’Orso e nei tre che la seguivano. Questa grande fiera invernaleè una testimonianza della mitezza che doveva caratterizzare la stagione fredda durante gli otto secoli dell’Optimum climatico del basso medioevo.

Fra il 1550 e il 1850 ha luogo la più grave crisi climatica del tempi storici denominata dagli specialisti il Pessimum climatico della Piccola Era Glaciale.

Essa provocò un abbassamento di almeno 500 metri dei limiti climatici delle colture, del bosco, del pascolo e delle nevi persistenti determinando un lungo innevamento annuo dei valichi e addirittura la glacializzazione dei più elevati e insieme la perdita di una grande quantità di terre coltivabili. Venendo a mancare contemporaneamente i proventi legati ai traffici transalpini e quelli delle più elevate terre agricole, il periodo della Piccola era glaciale fu per le valli alpine un‘epoca di estrema povertà.

In valle d’Aosta il contraccolpo fu durissimo: da ganglio dei traffici europei la Regione si trasformò in cellula chiusa in se stessa; le attività economiche si ridussero ad una agricoltura volta esclusivamente all’autosussistenza e tanto misera che viene definita dagli studiosi francesi “de acharnement”; la popolazione, poverissima e denutrita, venne falcidiata dalla peste e da malattie endemiche, molte delle quali riconducibili alla malnutrizione e alle grandi fatiche che in tali condizioni ambientali i lavori agricoli richiedevano.

Le condizioni del clima determinarono, nel corso della Piccola era Glaciale, la più imponente crescita volumetrica, areale e lineare dei ghiacciai verificatasi negli ultimi due millenni.

Dopo la metà del secolo XIX inizia il riscaldamento climatico tuttora in corso.

La fine della piccola era glaciale è segnata da una improvvisa forte diminuzione delle precipitazioni e da un sensibil innalzamento delle temperature: all’osservatorio meteorologico del Gran San Bernardo nei vent’anni successivi al 1856 le precipitazioni annue risultano meno di 1600 mm e l’altezza della neve caduta di 870 cm nei confronti di medie di lungo periodo assai più elevate; le temperature medie annue che fino al 1860 erano state attorno ai -1,9 °C si innalzano bruscamente a -1,5 °C”.

Chi fosse interessato ad approfondire l’intero articolo dal quale ho tratto questo passaggio, ed estendere l’analisi agli ultimi ottomila anni di variazioni climatiche in Valle d’Aosta può approfondire a questo link:

https://www.regione.vda.it/il_clima